“Piove sempre sul bagnato”, parliamo oggi dell’Alluvione di Firenze e lo facciamo attraverso un detto popolare che rappresenta una delle tante convergenze culturali tra paesi anglofoni e latini – visto che anche in inglese (o almeno in Inghilterra, dove il tempo umido è una caratteristica nazionale), trasmettono lo stesso significato con il detto “when it rains it pours” ovvero “quando piove si riversa”.
In qualsiasi lingua, si può immaginare che sentimento fosse diffuso in tutta la città di Firenze il 4 novembre 1966.
E che molti forse desideravano che la pioggia fosse invece caduta in un altro luogo, e soprattutto in pianura.
Il seguito dell’alluvione era stato abbastanza infausto. Le 48 ore che si sono susseguite il 2 e il 3 novembre ’66 hanno visto un acquazzone incredibile– circa un terzo delle precipitazioni annuali di Firenze – che si è aggiunto solo alla neve recentemente sciolta che ha saturato il fiume Arno.
Qualsiasi fiorentino che si avvicinava sul fiume avrebbe potuto temere il peggio. E avevano tutte le ragioni per farlo: l’Arno era soggetto a inondazioni, avendolo fatto 56 volte da quando iniziarono le registrazioni nel 1177.
E per una strana coincidenza, due delle peggiori inondazioni – nel 1333 e nel 1844 – si erano verificate il 4 novembre.
Il 3 novembre, le dighe di Levane e La Penna a monte del Valdarno erano pericolosamente inondate d’acqua.
Verso le 4 del mattino successivo, nel tentativo di evitare che le dighe scoppiavano, i funzionari decisero di rilasciare parte dell’acqua in eccesso a valle verso Firenze.
n tal modo, hanno scaricato un’enorme massa – circa 2.000 metri cubi al secondo – che ha tuonato verso la periferia della città ad una velocità di quasi 40 mph.
Alle 5 del.m l’Arno aveva rotto gli argini, versando acqua sporca e fango su entrambi i lati della città. E alle 9:45 a.m. L’iconica Cattedrale di Firenze aveva l’acqua fino a 1,8 metri.
I residenti della città avrebbero trascorso il resto della giornata a guardare senza speranza mentre questo diluvio di proporzioni bibliche devastava la loro città.
Solo intorno alle 8 p.m. l’acqua ha iniziato a ritirarsi, lasciando un’eredità fisica di 600.000 tonnellate di fango denso.
Il costo culturale per la città era considerevole.
Sebbene diverse profondità d’acqua influenzasse diversi quartieri – come mostrano alcune carte topografiche – il patrimonio culturale di Firenze era distribuito in modo tale che nessun luogo sfuggisse inalterato.
Tra i 3 e 4 milioni di libri e manoscritti sono stati danneggiati, insieme a circa 14.000 opere d’arte mobili.
Ma il costo umano è stato peggiore: l’alluvione ha lasciato 20.000 famiglie senza casa, costretto 6.000 aziende a lasciare l’attività e si è portata via 32 vite.
Un torrente di condanna si è immediatamente riversato sul governo per non aver messo in atto ulteriori misure preventive.
In realtà, mentre si potevano prendere misure supplementari, c’era poco che si potesse fare per evitare il disastro.
Ma c’era la necessità di incanalare la colpa per un’alluvione così terribile, e il governo è sempre un bersaglio facile. Oppure, come dice un altro idioma italiano legato alla pioggia: piove, governo ladro! –”qualunque cosa accada, è colpa dei governi”.
Ma la storia dell’alluvione del 1966 non è una storia di colpa; la storia dell’Alluvione di Firenze è una storia di cooperazione.
In risposta alla disperata situazione di Firenze, centinaia di Angeli del Fango scesero in città in pochi giorni.
Questi volontari – sia italiani che internazionali – hanno intrapreso la fatica di ricostruire la città e salvare tutto ciò che potevano.
E altri, sia con che senza un legame con la città, hanno fatto la loro parte come meglio potevano: entro un mese dal disastro, il regista fiorentino Franco Zeffirelli ha pubblicato il suo film di raccolta fondi “Per Firenze” (o “Florence: Days of Destruction”, in inglese); vale la pena guardarlo in lingua inglese solo per la narrazione italiana di Richard Burton.
Ogni anno avviene una celebrazione, se questa è la parola giusta, e nel 2016 fu grande l’anniversario per i 50 dell’alluvione.
In tutta la città, ci furono mostre fotografiche, eventi commemorativi e, all’apice, la reinstallazione dell'”Ultima Cena” (1546) accuratamente restaurata di Giorgio Vasari nel Basilica di Santa Croce.
Alluvione Firenze 1966: il collettivo e il personale
Ci sono due lati del diluvio del 1966: il collettivo e il personale.
Nel 2016 la città ha ospitato la commemorazione del collettivo: la ricostruzione della città, il restauro delle sue opere d’arte e gli sforzi internazionali degli Angeli del Fango.
Ma parla con qualsiasi fiorentino che ha vissuto l’alluvione e ti daranno un altro lato più personale.
Molti i settantenni che ricordano come quando l’alluvione ha colpito molti fiorentini che erano fuori città tornarono subito il giorno dopo e il lungo viaggio si resero ancora più conto del fatto che molte delle strade intorno a Firenze erano state chiuse o distrutte.
Alluvione Firenze: Ponte Vecchio
Il Ponte Vecchio (giunto alla sua terza incarnazione, i due precedenti sono stati distrutti dalle alluvioni nel 1117 e nel 1333) naufragò.
Un enorme albero che si era lavato contro il lato del ponte giaceva sospeso su di esso – apparentemente galleggiando a mezz’aria, era tenuto in posizione solo dal fatto di essere impigliato con altri detriti.
Altri erano penetrati nei negozi che costeggiavano il ponte e sporgevano dall’altra parte.
Molti ricordano più vividamente una petroliera che era stata lavata a valle e lasciata ripetutamente a sbattere contro, e alla fine attraverso, il centro del ponte.
Aveva causato danni enormi, ma allentando la pressione dell’acqua, con ogni probabilità aveva anche salvato il ponte.
Alluvione Firenze e Il Duomo e il Battistero
Nel Battistero che si trova davanti al Duomo, l’acqua ha raggiunto un’altezza di 2,4 metri.
Ma non è stata tanto l’altezza quanto la forza a fare il danno.
È risaputo che cinque dei pannelli delle Porte del Paradiso di Ghiberti sono stati strappati dalle porte del Battistero, fortunatamente ritrovati più tardi.
E’ meno noto che molte sedie del Bar Scudieri, uno dei più antichi locali ancora operanti sulla piazza, sono state trovate lavate all’interno della cattedrale interna, introdotte dalle acque alluvionali e lasciate a mescolarsi tra i banchi e gli altari.
Guardate oggi a destra dell’ingresso degli Scudieri e potete vedere una targa che segna l’altezza raggiunta dall’acqua.
Alluvione Firenze 1966: Santa Croce
La peggiore delle inondazioni è stata nella zona di Santa Croce dove l’acqua ha raggiunto altezze di 6,7 metri.
I danni causati alla Basilica Francescana sono stati terribili.
Non solo i suoi illustri abitanti – Michelangelo, Machiavelli, Galileo e Ghiberti – furono sommersi nelle loro tombe per oltre 12 ore, ma molte importanti opere d’arte furono gravemente danneggiate o completamente distrutte.
Il “Crocifisso” di Cimabue – restaurato e reinstallato nel museo del sito solo nel 1976 – divenne un simbolo internazionale della sofferenza di Firenze.
“Ultima Cena” di Vasari , d’altra parte, è stato così gravemente danneggiato che gli esperti non hanno avuto altra scelta che aspettare che la tecnologia fosse inventata per salvarla.
I segni lasciati dall’alluvione sono ancora visibili nella piazza di Santa Croce.
Di fronte alla chiesa, se guardi appena sotto il cartello stradale nell’angolo all’estrema destra della piazza vedrai due targhe.
Quella inferiore segna la linea di galleggiamento delle acque dell’Arno durante l’alluvione del 1557.
Quello più alto recita: Il IV Novembre 1966 l’acqua dell’Arno arrivò a quest’altezza. Sorprendentemente, è appena sotto le finestre del primo piano.
Targhe come queste sono, infatti, in tutta la città. Basta un occhio acuto per trovarli.
Abbiamo già menzionato quello del Bar Scudieri vicino al Duomo, ma si trovano anche in Via della Vigna, in Via San Remigio (dove sono segnati il 1333 e il 1966) e in Via Isola delle Stinche – un tempo sede di una delle prigioni più temute della città.
Ed è in queste strade laterali lontane dal centro che una scoperta soprattutto ha sconcertato i fiorentini. Un enorme tronco d’albero, lungo circa 30 metri, è stato trovato in via Laura. E nessuno riusciva a capire come ci fosse arrivato.
Per cominciare, era troppo largo di diametro per essere spostato dalla macchina, non importa a mano.
Oltre a questo, l’area intorno alla Via Laura non è solo ad una certa distanza dal fiume ma è nel mezzo di un labirinto di strade strette, tortuose e pedonali.
Alla fine, l’albero doveva essere segato a metà prima di essere rimosso.
Alluvione di Firenze Fuori città
Firenze potrebbe aver ricevuto il peso dell’attenzione dei media di tutto il mondo. Ma non ha sofferto il peggio delle inondazioni di quell’anno.
Fuori nel paese, l’acqua alluvionale ha bloccato le persone nelle loro case e sui loro tetti, lasciandole dipendenti da volontari in gommoni o barche improvvisate sotto per risorse vitali.
La Maremma è stata l’area più colpita della regione, in particolare il suo capoluogo Grosseto.
Alluvione Firenze:”Una città di resistenza”
Quando, nel 1956, la scrittrice americana Mary McCarthy descrisse Firenze come “una città di resistenza, una città di pietra”, non poteva immaginare cosa la città e i suoi abitanti avrebbero dovuto affrontare dieci anni dopo.
L’alluvione fu una catastrofe civile e nazionale. Ha distrutto proprietà, distrutto mezzi di sussistenza e, peggio di tutto, ha causato vittime.
Ma c’era un rivestimento intorno alle nuvole in tempesta del novembre 1966.
La necessità ha portato innovazioni nel campo della conservazione e del restauro e ha visto il lato migliore della cooperazione internazionale per la conservazione del patrimonio artistico.
E nonostante ciò che i fiorentini avevano sopportato, non lasciarono mai che il diluvio smorzava completamente i loro spiriti, dimostrando che il detto di McCarthy aveva ragione.
“Le alluvioni fanno parte di ciò che rende i fiorentini quello che sono”, scrive Robert Clark, autore di “Dark Water: Art, Disaster, and Redemption in Florence”.
Fin dalle origini della città, hanno trovato espressione nell’arte, nella letteratura e nei detti fiorentini ancora oggi usati:
- Arno non cresce se Sieve non mesce(l’Arno non crescerà se Sieve non vi aggiungerà);
- Quando Monte Morello ce l’ha il capello, Fiorentino piglia l’ombrello(quando il Monte Morello indossa il suo cappello -le nuvole-, Firenze ha bisogno del suo ombrello).
Ma un aneddoto raccontato da alcuni fiorentini racchiude più di ogni altro lo spirito fiorentino all’indomani dell’alluvione.
Mentre aiutavano la comunità artigiana disperatamente scoraggiata di San Frediano a salvare ciò che potevano dalle loro botteghe allagate, si ricorda uno scambio avvenuto tra un negoziante con i suoi vicini.
Notando che era tranquillamente seduto nella strada inzuppata di fango, il suo vicino gli chiese se a un certo punto intendeva mettersi al lavoro per sgomberare il suo negozio.
“Commercio in oggetti d’antiquariato! Saranno più antichi se più a lungo rimarranno laggiù”.
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